mercoledì, aprile 12, 2006

Chi sono i coglioni?

Ricevo da un'amica e volentieri pubblico:

Cari tutti,

esattamente una settimana fa, Federica inviava a molti di voi un’indignata lettera post-confronto Prodi-Berlusconi. Oggi (ieri ndBigio) sono le dieci e mezza del mattino, e le nostre sorti dipendono dai voti degli italiani all’estero, ancora in conteggio. Qualunque speranza ancora ci sostenga è attaccata a quei voti, ma questo non toglie l’inquietudine che il proporzionale, in una fotografia dai contorni netti, ci regala del nostro Paese: come ha detto il primo portavoce di FI che ho sentito ieri, quella che abbiamo visto delinearsi sempre più definitivamente, nel lungo pomeriggio e nella lunga serata, è un’Italia tagliata in due.
Innanzitutto, in senso geografico. L’emicrania che ha cominciato a martellarmi ieri alle undici, e che dopo quasi dodici ore non vuole convincersi a lasciarmi, mi ha impedito di controllare con attenzione gli ultimi dati del Senato: non so quindi se la Campania sia stata assegnata all’Unione o alla Cdl, idem sul Lazio, eccetera. Ma un dato sicuro è che anche la Sicilia ha assunto una fisionomia elettorale normale, dopo il 61 a 0 del 2001: mi sembra evidente che la Camera delle Regioni avrà quasi tutti i senatori del Nord nella Cdl. Inquietante. Cosa vuol dire? Ieri pensavo: questo governo negli ultimi cinque anni ha dragato risorse dal centro e dal sud e le ha iniettate altrove, per salvare il suo elettorato piccoloimprenditoriale del nord. Ma mi sembra una spiegazione troppo, troppo semplice. E l’elettorato di AN? E le regalìe sul modello del governo Cuffaro, che ci ha donato in questi anni tuffi nel passato della prima Repubblica?
La spaccatura geografica è significativa, ma di ardua interpretazione, e soprattutto non così netta: Campania Lazio, a lungo in bilico, così come il Piemonte, tra una parte e l’altra. E questo è il dato inquietante e la vera spaccatura: una nazione tagliata sul filo del 49%-51%. E non è una nazione tagliata in due come la Germania, dove è la difficoltà di elaborare politiche economiche dal profilo chiaramente distinto che ha portato alla Grosse Koalition (e scusate la semplificazione
dell’analisi che non è un’analisi, è solo un esempio contrastivo). Non è insomma l’eccesso di somiglianza che ha provocato quell’oscillazione intorno al baricentro impossibile del 50%, ma il contrario: una spaccatura reale e autentica, di mentalità e cultura.

E qui, di nuovo, ritiro fuori Federica, e i dialoghi post-confronto dello scorso lunedì e di tutti gli aperitivi pisani che sono seguiti, in cui lei e io facevamo un po’ le parti delle pessimiste ad oltranza. Non nego che nel mio pessimismo ci fosse una notevolissima dose di scaramanzia: e
non nego neppure che, data la situazione attuale, per una volta di può rispondere a Cipputi che «poteva andare peggio». Però questo non elimina il dramma della spaccatura.
Che è una spaccatura, mi sembra, culturale più che geografica o economica.
Pisa non è un buon osservatorio, non lo è neppure la Toscana, ma se è per questo non lo è neppure Milano. Domenica sera, appena arrivata nella fonda provincia lombarda, sono andata a trovare un’amica al seggio. Se io ero pessimista, lei di più. E la capivo: le vedi, quelle facce di
pensionate e pensionati, e lo senti, che voteranno B. – o se proprio ci va bene, Lega.
Ma soprattutto, mi diceva lei, che chiacchierando con i suoi compagni di SISS milanesi, aveva trovato lo stesso scoglio di incredulità che avevo sentito anch’io a Pisa: no, non è possibile, stavolta no davvero, non lo possono votare ancora. E così pensavano i giornalisti del Guardian o
dell’Economist, tutto il giornalismo francese – mi diceva Erica ieri sera -, insomma tutti gli analisti stranieri. Che infatti già prospettavano un futuro di ritorno del grande centro, della DC in versione reloaded e forse extended: ma B. era finito. E invece Forza Italia è il partito più forte d’Italia. Con quel nome, d’altronde, non poteva essere altrimenti.

Dunque, l’Italia divisa, e divisa tra la città e la provincia (Milano e la sua provincia), tra i dipendenti statali e quelli privati (il nord e il centro), tra i pensionati e i giovani (ma esistono i giovani? Ma dove sono, perché in Francia… ma lasciamo perdere paragoni insensati: la Francia è la Francia, ha Parigi che tutto accentra anche buona parte del sistema universitario, etc.) - certo, tra i pensionati e i giovani, tra i miei genitori e me, perché loro NON HANNO NIENTE DA PERDERE da altri cinque anni di B. Non come noi, perlomeno: la pensione ce l’hanno, e ce
l’hanno garantita. Siamo noi – che abbiamo più di venticinque e meno di trentacinque anni – che siamo realmente bloccati nel nostro ingresso «nel mondo» - quello che raccontavano i Bildungsromane dell’Ottocento… - da cinque anni di malgoverno e da cinque anni di…? (ma cosa ci aspetta realmente dai prossimi anni?).

Ma così sembra davvero un piagnisteo sulla sorte rea e cruda che ci è toccato vivere ed affrontare. Rimane il grande interrogativo, che non è solubile solo ricorrendo alla risposta generazionale. Chi vorrà analizzare sociologicamente, e coloro che dovranno solvere il problema politico di come distaccare quella metà esatta di italiani ancora sensibile dopo cinque anni di peggioramenti generalizzati alle sirene del populismo, deve volgere lo sguardo sulla provincia profonda. Almeno al Nord, cioè nei luoghi che conosco e di cui avverto istintivamente e intuitivamente le movenze – ma non chiaramente e intellettualmente le ragioni –, al fondo
di questa sensibilità sta una mole, inimmaginabile dalla “civile” Toscana, dalla “colta” Pisa, dalla “internazionale” Milano, di qualunquismo: «e poi dicono che tutti sono uguali, che tutti rubano alla stessa maniera».

Mia madre che ieri sera cercava disperatamente una scappatoia agli imperanti speciali sulle elezioni, sbuffando. I miei zii e i miei cugini che votano (ancora!) la Lega perché non sono in grado di concepire la politica (e molti di loro hanno la laurea) al di là del panorama immediato del loro
paese e – al massimo – della provincia. E soprattutto: bisogna che qualcuno si metta ad analizzare le strutture concrete di diffusione del potere in queste realtà – che sono le MAGGIORITARIE numericamente in questo fottuto, fottutissimo paese. Maggioritarie, va bene, ho esagerato: che sono la realtà più misteriosa eppure che assomma metà – o un po’ meno: diamo alla mafia, alla criminalità organizzata al sud, e alla corruzione, quello che loro spetta in relazione all’influenza di questo centrodestra sull’elettorato. Perché quando sono entrata nel mio seggio del mio paese, i “maggiorenti” erano tutti lì – come rappresentanti di lista, presidenti o scrutatori o segretari di seggio – con il doppio petto blu d’ordinanza e la spilla di «Berlusconi presidente». Ed erano sempre i soliti: quelli che nel paese ci sono da sempre, da almeno tre generazioni, che sono stati sempre dentro le cose che contano – la parrocchia e il Comune – quelli che hanno avuto i soldi per far studiare i figli quando ancora i laureati solo per il loro titolo di studio erano ritenuti degni di governare, eccetera.

Studiare la relazione tra le facce e i simboli di partito: e le facce, in queste realtà, contano.
Ieri Erica diceva: perché c’è questa sfasatura tra il voto amminsitrativo – che sorride alla sinistra – e il voto nazionale? Quanto ha influito l’assenza delle preferenze – e quindi di una campagna elettorale giocata sul territorio e sulle persone – nelle difficoltà della sinistra? Eppure per la Lombardia questo non conta… è la regione più popolosa d’Italia, la più ricca, con il maggior numero di attività economiche e di lavoratori altamente specializzati, laureati, presumibilmente colti. Ma non è ancora una realtà metropolitana. Milano non è Londra. O meglio: Milano si riempie la mattina e si svuota la sera di provinciali che vi lavorano ma tali restano.
Ieri Pansa faceva l’arrogante e il superiore, dicendo: questi chili di carta stampata antiberlusconiana – i giornali, i libri -, questi film questi comici: dovranno rivedere la loro posizione. Quasi a dire: nonostante l’egemonia massiccia della sinistra nei canali di
trasmissione delle informazioni, lui ha vinto – o perlomeno non ha perso – e quindi tutti coloro che su quei mezzi si sono espressi hanno sbagliato i loro conti. Pansa è uno stronzo, uno che usa in malafede la propria intelligenza. Perché non credo possa permettersi di ignorare che i quotidiani in Italia sono letti da circa un milione di persone al giorno (1/47 degli elettori), quelli che entrano nelle librerie sono ancora meno, e chi va a vedere i film della Guzzanti o il Caimano ci va perché già ne condivide idee e opinioni. L’unico strumento nazionale che tutti gli elettori condividono – anche chi per snobismo dice di non vederla mai – è la televisione. La gente non parla dell’ultimo libro di Pansa, e non pensa che i comunisti siano cattivi perché ha letto e condivide la ricostruzione storica di “Il sangue dei vinti”. La gente parla della Fattoria e del Grande Fratello. Magari non vede il confronto Prodi-Berlusconi, ma il giorno dopo sente il Tg e scopre che B. abolirà l’Ici. E magari non ci crede o magari non gliene frega niente, ma quel messaggio passa e la
“felicità” di Prodi, francamente, un po’ meno. E comunque: prima del confronto magari non ci aveva neanche ancora pensato, a cosa votare domenica 9 aprile. E il 10 mattino va a lavorare tranquillo, e per tutto il pomeriggio si dimentica del rito ininfluente nella sua vita che ha compiuto il giorno precedente. Mentre noi abbiamo reso incandescenti i nostri telefoni, e zappato furiosamente tra i canali televisivi per tutto il pomeriggio alla ricerca di dati, dati, dati, sempre un po’ più sicuri e sempre un poco più tristi, oppure abbiamo tenuto solo la radio accesa facendo finta di fare altro – e sentivamo che stava oscillando un destino collettivo e il nostro dentro quello.

Ecco, l’ho usata, la parola: «noi». E poi ci sono «loro».

Scusate lo sfogo. Volevo condividere cose che intuisco e vedo, e che mi vergogno di continuare a vedere, e mi sembra a volte che siano realtà e fenomeni non abbastanza considerati. Al di là di tutto, al di là della vittoria regalataci dalla legge elettorale voluta dal centrodestra (chi sono, oggi, i coglioni?), su questa spaccatura bisogna, è urgente, riflettere.

Anna

2 commenti:

eradan ha detto...

Bel post, davvero.
Ringrazia Anna per le sue parole.

Io oggi mi sto riprendendo. Ieri, anche dopo la notizia del 4 (quasi 5) ad 1 dei Senatori ottenuti con i voti degli Italiani all'Esterno non sono riuscito a tirarmi sù.

Non mi aspettavo questo risultato. Sono esattamente uno di quei "bischeri" che continuava a ripetersi: "no, stavolta Silvio non può vincere: è sotto gli occhi di tutti quello che ha combinato per 5 anni a questo paese". E invece... in effetti non ha vinto, ma non ha neppure perso. Il 23% a Forza Italia è sinceramente inquietante. Ricorda molto la vecchia DC piena di voti da tutta Italia ma che poi non capivi mai da dove venissero 'sti cavolo di voti perché molti si vergognavano di dirlo in pubblico.

E poi è vero che Pisa e la Toscana non sono un'osservatorio attendibile. Oggi ho guardato i risultati per Regione: siamo la Regione più rossa d'Italia con poco più di 6 voti su 10 all'Unione. L'aria che tira qui è diversa, nel bene e nel male. E comunque, per ritornare al discorso di prima, io quei 4 italiani su 10 faccio fatica a trovarli... forse è "colpa" degli ambienti che frequento. Forse in Toscana succede un po' come è successo all'Unione: ti crogioli nell'idea della vittoria e non ascolti i segnali in arrivano dal basso.

Infine mi sento di dare ragione ad Anna su un'altra cosa. La televisione ci ha lobotomizzati; ha anestetizzato l'orrore per la violenza; ha scardinato il nostro rispetto per le istituzioni. Questa cosa mi rattrista: un tempo la TV era stata il mezzo che aveva riunito il paese, anche linguisticamente. Oggi invece ci divide più che mai, usandoci per radicalizzarci a destra o sinistra e, subliminalmente, ricordarci che quel che importa davvero è apprire.

Ok, la pianto qui che questo dovrebbe essere solo un commento... d'altro canto il post era davvero lungo!

Comunque vedo che ci sono delle commistioni con Pisa... chissà che non ci si incontri prima o poi.

A presto, =)
Ivan

Anonimo ha detto...

Scusate, mi introduco anch`io in questo dibattito perche` sono un po`
infastidito da una considerazione scontata, quasi un luogo comune di
partenza: che gli italiani siano un popolo di barbari degradati, per
meta`
e piu` scivolati nella demenza e nell`incivilta`. Non per negare che
sia
vero, ma semmai per far presente che e` sempre stato cosi`, che non e`
il
blocco sociale che e` cambiato ma il livello della sua rappresentanza,
cioe` della politica, ad essersi mostruosamente abbassato. Last but not
least, penso inoltre che le civili lande prese sempre a modello sono
meno
civili di quello che ci ostiniamo a pensare, a cominciare dalla
democrazia
per eccellenza che e` l`America, senza trascurare la Francia e
l`Inghilterra e la Spagna e chi piu` ne ha piu` ne metta. Certo il
livello
delle loro rappresentanze politiche, il livello `alto` della societa`
diciamo, ha gli anticorpi necessari per non sprofondare dove siamo
sprofondati noi. Ma date la possibilita` ad un berlusca qualsiasi di
infiltrarsi nei gangli del potere, ed i francesi o gli spagnoli lo
voterebbero felici e contenti proprio come da noi. L`Italia e` un paese
di
anarchici, di individualisti spesso insofferenti alle regole ed alle
imposizioni: su questo sono d`accordo. Ma e` anche un paese pieno di
gente
ricca di ideali, viva, responsabile, impegnata (ed in genere sempre un
pelino anarchica e amante della liberta`, e meno male). Credo piu` di
quanto non accada in molti dei paesi modello che ci ostiniamo ad
invidiare, emulare, guardare con esterofilo rispetto. Senza mai vederne
anche i lati deboli (e di contro certi nostri lati forti). L`Italia
vive
oggi una mostruosa crisi di fiducia in se stessa e mi stupisce questa
assenza di rispetto di se` anche nei migliori rappresentanti della sua
societa` civile. Non siamo `peggio`, per molti aspetti forse siamo
addirittura `meglio`. Il problema vero e` esprimere questo meglio, e`
farlo uscir fuori per vincere sulla merda che imprigiona tutto nella
sua
fanghiglia vischiosa. Senza pensare rassegnati che al degrado non c`e`
via
di scampo, che sia progressivo, inarrestabile, che ci stiamo lasciando
andare. Ma va la`. Il peggio ha sempre vita facile, ed e` il meglio a
dover faticare per imporsi e mantenersi. A Firenze dopo il culmine del
Rinascimento si e` sprofondati nel rogo dei libri e nel rifiuto della
liberta` intellettuale in tempo zero, con un frate invasato che
dominava
la societa`. La stessa che fino a poco tempo prima aveva prodotto il
meglio del meglio... e non e` che fossero impazziti tutti di colpo,
saranno stati piu` o meno gli stessi. Era solo cambiata la
ristrettissima
classe di quelli che decidevano per tutti, dei gestori del potere. Come
anche da noi. E` da li` che viene il degrado. Il resto e` rimasto
grosso
modo quello di sempre.
Conclusione: speriamo che Berlusconi finisca come Savonarola!