giovedì, febbraio 17, 2011

La parola libertà

Oggi leggevo le Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, un libriccino che raccoglie alcuni pensieri di Simone Weil.

"E tuttavia nulla al mondo può impedire all'uomo di sentirsi nato per la libertà. Mai, qualsiasi cosa accada, potrà accettare la servitù; perché egli pensa. Non ha mai smesso di sognare una libertà senza limiti, sia come felicità remota di cui sarebbe stato privato per una punizione, sia come una felicità futura che gli sarebbe dovuta per una sorta di patto con una provvidenza misteriosa. Questo sogno è sempre rimasto vano, come tutti i sogni, oppure è servito da consolazione, ma come fosse oppio; è tempo di rinunciare a sognare la libertà e decidersi a concepirla."

Mi ha fatto pensare al modo in cui la parola "libertà" viene utilizzata. Ce l'hanno tutti in bocca, se ne ammantano, se ne vantano. Tutti a coccolarla e a promuoverla. Lo fanno i partiti di centrodestra, che la innalzano come una spada contro l'oscuro male dell'oppressione socialista; lo fanno i gruppi di guerriglieri nei paesi in guerra civile, che in nome della libertà ammazzano e compiono violenza di ogni tipo; lo fanno i filmacci americani di terza tacca, che quando non sanno quale valore promuovere si buttano sempre sulla libertà, che è sempre attuale e sempre verde. Chi non la ama, la libertà? Parafrasando la frase di un professore del liceo, che rispose in maniera simile a un rappresentante degli studenti quando io ero allo scientifico: "la libertà è come la pelle dei cojoni... come la tiri stà."
Certo non è Simone Weil, ma il concetto è chiaro. La libertà è il jolly. Tutti possono farsi belli parlando di libertà. Ma quante persone si fermano a pensare cos'è, la libertà?

Una volta ce lo chiesero. Avevo diciassette anni. Mi ricordo che uno dei miei amici disse: la libertà è che quando vado al supermercato, invece di scegliere una sola marca di un prodotto, ne ho tre e posso scegliere. Il resto era d'accordo sul fatto che comunque il concetto di libertà coincidesse più o meno con "fare il più possibile il cazzo che mi pare". Ma ovviamente non è così. Così è essere schiavi della libertà, e nemmeno questa è libertà. Imprigionati nella frenesia di togliersi di dosso quanti più vincoli possibile, tabù, restrizioni, convenzioni, tradizioni, auto-imposizioni, convinzioni, prassi. Ovviamente il modo più semplice per essere liberi diventa accumulare potere. E accumulare potere diventa accumulare soldi. E la libertà si riduce alla libertà di fare più soldi. Scommetto che in pochi di quelli che sparano inni alla libertà in faccia al prossimo ha mai riflettuto davvero su quanto egli stesso è schiavo.

"Si può intendere per libertà qualcosa di diverso dalla possibilità di ottenere senza sforzo ciò che ci piace. Esiste una concezione ben diversa della libertà, una concezione eroica, che è quella della saggezza comune. La libertà autentica non è definita da un rapporto tra il desiderio e la sua soddisfazione, ma da un rapporto tra il pensiero e l'azione; sarebbe completamente libero l'uomo le cui azioni procedessero tutte da un giudizio preliminare concernente il fine che egli si prepone e il concatenamento dei mezzi atti a realizzare questo fine."

Ecco cos'è la libertà in senso eroico. La libertà vera. Non ha nulla a che vedere con il desiderare qualcosa e appagare quel desiderio. La libertà vera scaturisce dalla possibilità che deve avere un uomo di perseguire un fine con tutti i mezzi che ritiene atti allo scopo. Cioè avere un'idea di cosa ci rende felici, e avere la possibilità di lavorare per raggiungerla.
Questa è la libertà vera. Credo che sia una delle cose più nobili e belle che abbia mai letto.

"Poco importa che le azioni in se stesse siano agevoli o dolorose, e poco importa anche che esse siano coronate da successo; il dolore e la sconfitta possono rendere l'uomo sventurato, ma non possono umiliarlo perché è lui stesso a disporre della propria facoltà di agire."

Non importa se il tentativo di raggiungere la propria idea di felicità è doloroso, e non importa nemmeno se ci si riesce. Tentare, soffrire e fallire non è umiliante fintanto che si decide di propria spontanea volontà di farlo.

"Poiché pensa, [l'uomo] ha la facoltà di scegliere tra cedere ciecamente al pungolo con il quale una necessità assolutamente inflessibile lo incalza dall'esterno, oppure conformarsi alla raffigurazione interiore che egli se ne forgia: in questo consiste l'opposizione tra servitù e libertà. [...] Un uomo sarebbe totalmente schiavo se tutti i suoi gesti procedessero da una fonte diversa dal suo pensiero, cioè dalle reazioni inconsulte del suo corpo, oppure dal pensiero altrui; l'uomo primitivo affamato che si muove solo per placare la fame, lo schiavo romano perennemente teso verso gli ordini di un sorvegliante con la frusta; l'operaio moderno che lavora in una catena di montaggio, sono tutti prossimi a questa condizione miserabile."

Schiavi.

4 commenti:

Marco R ha detto...

Non sono d'accordo. La definizione di Simone Weil parla di "saggezza comune", da cui sono portato a pensare che la libertà possa avere solo una dimensione collettiva. Essendo l'uomo un animale sociale, questa saggezza comune altro non è che l'universo simbolico che da le norme alla società, ivi compresa la struttura gerarchica più o meno rigida che caratterizza ogni società passata o presente.
Quindi, si può dire che la libertà concessa al singolo individuo sia sempre in misura limitata e ottenibile attraverso un rapporto conflittuale o di compromesso con gli altri.
Del resto, Elias Canetti sosteneva che il primo nucleo della società è stata la muta di caccia, in cui è necessario che i ruoli siano ben definiti e che sopratutto ci sia un ordine gerarchico nel consumo della preda catturata. Anche la concessione di una più o meno limitata libertà individuale, per Canetti, è un meccanismo per neutralizzare le tensioni di scalata al comando che il potere attua.
Il punto è che senza una societa organizzata le probabilità di sopravvivenza della specie umana diventano zero.

Per quanto altre visoni possano essere più ottimiste o consolatorie, io rimango dell'idea che siamo brutte, bruttissime bestie (come tutte le altre, del resto).

Bigio ha detto...

Sono sicuro (perché ho letto il libro!) che Simone Weil è d'accordo con te per tutto quello che riguarda il concetto di libertà come di "appagamento di un desiderio" (e infatti parli di conflitto con il prossimo). Ma lei introduce un'altra idea di libertà, per la quale le necessità umane sono ininfluenti, perché ne sei libero. E' di questa libertà "eroica" che parla: la libertà che consegue dal potersi muovere per raggiungere un obiettivo. Se ti trovi in un contesto sociale, questo tipo di libertà fa i conti col contesto, ma solo appunto per tenerne conto, dopodiché il progetto si adatta a questa e divieni comunque libero di muoverti. E' quando non hai più questa libertà eroica, perché sei schiavo dei tuoi bisogni, che non sei davvero libero. Ad esempio quando lavori per mangiare, dormire e procreare, e nient'altro.

Marco R ha detto...

Ma tu pensi che si possa essere liberi dai propri bisogni? Lavori per mangiare, dormire, procreare e quant'altro serva per allontanare il momento della morte e il suo pensiero costante, cosa che è il vero bisogno fondamentale.

Per esempio, si cerca di fare qualcosa che rimanga nel tempo, che abbia un valore al di là della propria vita effimera, oppure che possa essere di aiuto per il prossimo, in un tentativo più o meno cosciente di donare qualcosa in cambio della propria sopravvivenza. Se io ti offro qualcosa, tu aggressore reale o metafisico non prendi la mia vita; se io riesco a sentirmi una cosa sola con l'umanità, mi sento meno bersagliabile come singola preda; se sarò buono, tu Dio mi farai sconfiggere la morte, ecc...

Secondo me questa libertà eroica è un'utopia, o come dicevo prima, un pensiero consolatorio.

Bigio ha detto...

No hai ragione, è un'utopia. Infatti Simone Weil la propone come qualcosa a cui tendere, non come un obiettivo raggiungibile.
Purtroppo siamo abituati a puntare in basso per accontentarci di dove arriviamo. Ma se nessuno avesse puntato alla luna, non ci saremmo mai arrivati.

"La verità è che, secondo una formula celebre, la schiavitù avvilisce l'uomo fino al punto di farsi amare; ché la libertà è preziosa solo agli occhi di chi la possiede effettivamente; e che un regime del tutto inumano, com'è il nostro, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare la società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli si sono sottomessi, tanto gli oppressi quanto gli oppressori. Ovunque, in gradi diversi, l'impossibilità di mettere in rapporto ciò che si dà con ciò che si riceve ha ucciso il senso del lavoro ben fatto, il sentimento di responsabilità, ha suscitato la passività, l'abbandono, l'abitudine ad aspettarsi tutto dall'alto, la credenza nei miracoli."