martedì, marzo 15, 2011

Studenti, 2


STUDENTI
Seconda parte (prosegue da qui)

«L'ha scritta Lucio Battisti, vero?»
La voce arrivò dall'altro lato della carrozza, quindi tutti e tre i ragazzi si voltarono di scatto. L'uomo che prima sedeva in fondo allo scompartimento leggendo la gazzetta, adesso si era avvicinato e li stava osservando dal sedile appena oltre lo stretto corridoio. Si trattava di un uomo sulla trentina, forse appena quarantenne. La barba e i capelli lunghi e neri impedivano di coglierne bene l'età. Indossava jeans scuciti e una maglietta nera con un qualche disegno sopra, ma le braccia incrociate sul petto coprivano l'immagine.
Cristina ritrasse istantaneamente la mano, nascondendo il pennarello rosso. Forse quel tipo l'aveva vista mentre scriveva sul vetro. Il suo fu un gesto istintivo, spontaneo, che ci permette di asserire con una buona dose di sicurezza che Cristina sia una ragazza responsabile e con un senso del giusto perfettamente sviluppato. Ma solo inconsciamente. Infatti non appena ci pensò sopra, si disse che quel tipo in fondo non era nessuno, che anche se l'avesse sgridata se ne sarebbe fregata e che non erano affari suoi.
«Non l'ho so l'ho letta sul diario di una mia amica.» Ammise.
L'uomo annuì con la testa. Aveva uno sguardo inquietante, come se le scrutasse dentro. Annuendo in quel modo pacato sembrava intendesse: “brava mi stai dicendo la verità”. Cristina diede una botta alla spalla di Marco e si alzò in piedi. Marco la guardò dal basso in alto, chiedendosi che stava succedendo. Fabio invece capì subito, si alzò in piedi anche lui e afferrò lo zaino.
«Dove andate?» Chiese stupidamente Marco.
«Andiamo dagli altri.» Gli rispose freddamente Cristina, cercando poi di scavalcarlo. Quell'uomo le metteva i brividi. Non era davvero il caso di restare neanche solo un minuto in più in quello scompartimento, da soli, assieme a lui. Piuttosto avrebbe preferito viaggiare in piedi in un altro vagone, stracolmo di studenti, come era la norma. E Marco capì. Tutti e tre si allontanarono velocemente e senza dire una parola, scendendo in un attimo la rampa di scale che conduceva allo spazio tra le porte di salita e discesa. L'uomo non si mosse, ma li seguì con lo sguardo finché non scomparvero oltre il bordo della scalinata.
«Secondo me quello era un maniaco!» Sparò Cristina appena scese le scale. Pronunciò quelle parole sussurrando, ma nel tentativo di essere sentita da entrambi i suoi amici fu costretta ad alzare fin troppo la voce. Fabio, che era ancora sulle scale, le intimò di stare zitta portando il dito indice davanti al naso. La ragazza deglutì. Marco la prese sotto braccio, come per tranquillizzarla. Ma non appena si guardò attorno, si rese conto di essere lui a dover essere tranquillizzato.
Il treno era vuoto. Da quel punto era possibile con un'occhiata raggiungere l'altra estremità del vagone attraverso tutto il piano terra, in entrambe le direzioni. Non c'era nessuno. E al piano superiore, da dove erano appena scesi, non c'era nessun altro a parte loro tre e quell'uomo dal fare inquietante. Fuori dai finestrini era possibile scorgere la campagna, strade e case che fuggivano veloci come di norma, anche se difficilmente uno chiunque dei tre ragazzi avrebbe potuto dedurre a che punto del tragitto si trovassero. Il treno correva sussultando di tanto in tanto, emettendo i soliti cigolii, i rumori di sempre. Ma quei rumori erano gli unici che era possibile sentire.

«Dove sono finiti tutti gli altri? Ho visto salire anche Pippo, il Gazzosa e Federica... e c'era un sacco di gente, stavano tutti dietro di noi quando siamo entrati.» Esclamò Marco.
Fabio scese gli ultimi scalini e si rese conto della situazione. Cristina era ammutolita. Tutti e tre si incamminarono lungo il corridoio, fino alla porta che conduceva al vagone successivo. Arrivati lì di fronte, Marco sbirciò oltre le due porte e riconobbe una decina di suoi compagni di classe, ammassati su quattro sedili, assieme a molti altri passeggeri.
Sono tutti qui! Pensò Marco. Sorrise mentre si voltava per rassicurare anche Fabio e Cristina. Ma il sorriso scomparve velocemente dalla sua faccia quando si accorse che la porta non aveva intenzione di farlo passare. Continuò a premere insistentemente il pulsante dell'apertura automatica, ma niente.
«Sarà rotta... come al solito.» Suggerì Fabio, facendosi avanti. Provò anche lui a premere il pulsante ma la porta non reagiva in alcun modo. Oltre quella porta, oltre lo spazio tra i due vagoni e oltre la successiva identica porta, sembrava che tutti stessero trascorrendo il viaggio come al solito. Pippo faceva il deficiente, Federica rideva, altri stavano giocando a tressette su uno zaino rovesciato, e un passeggero leggermente infastidito dal baccano tentava di leggere una rivista. Marco si unì a Fabio nel tentativo di aprire la porta a mano. Entrambi afferrarono la maniglia e la tirarono con tutte le forze, ma la porta era come bloccata. Allora Fabio cominciò a battere sul vetro per richiamare l'attenzione degli altri. Anche Marco iniziò a gridare. Chiamarono i loro compagni di scuola uno dopo l'altro, ma nessuno sembrava sentirli. Il rumore tra i due vagoni, le porte chiuse, forse non era così strano che non si accorgessero di niente.
«Proviamo dall'altra parte del vagone, - suggerì Cristina – magari di là è aperto.»
Ma quando si voltarono, si trovarono di fronte quell'uomo.
Era in piedi, in mezzo al corridoio. Non teneva più le braccia incrociate, e sul petto sopra l'immagine di un morto vivente verdognolo si poteva leggere la scritta IRON MAIDEN. Inquietante e pure metallaro. Qualcosa era cambiato in lui. Barba e capelli sembravano più lunghi, a malapena si riusciva adesso a scorgere il suo sguardo e il naso. Non solo, adesso che era illuminato di fronte dalle lampade al neon, era chiaro che si trattava di un quarantenne, anche piuttosto attempato. Dal folto di quella zazzera spuntavano diversi capelli bianchi, che scivolavano ai lati della testa striando di chiaro la folta chioma nera. Cristina indietreggiò.
«Non potete andare via.» Disse l'uomo. Loro rimasero in silenzio, così lui riprese a parlare.
«Mi chiamo Anacleto, e sono un ladro.» Aggiunse.
(continua)

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