mercoledì, agosto 31, 2011

Drizzit 110

Mi piace ricorrere al meta-fumetto, di tanto in tanto. Mi ricorda che quella di Drizzit è solo una storia a fumetti, e che quindi ha una dimensione e dei confini ben precisi, umoristici, poco pretenziosi, esagerati per certi versi e volutamente incoerenti per altri. Non voglio che la storia di Drizzit sia considerata una specie di racconto epico a puntate. Le sue avventure dovrebbero avere più il sapore di uno spettacolino fantasy con tanti effetti speciali.

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martedì, agosto 30, 2011

Drizzit 109

Questa serie di strisce deve essere uno dei climax della storia. Me ne accorgo perché sono zeppe di cose che accadono e mi impegna molto dare a ogni vignetta l'aspetto che vorrei. Parlando d'altro c'è stato un lettore che mi ha chiesto: ma il gruppo non aveva deciso di infilarsi nella tana di un drago? Come mai sono finiti invece dentro le catacombe? La verità è che andare a rubare il tesoro del drago era un'idea di Katy, subito scartata quando si è visto che per raggiungere la tana c'erano solo due strade: passare vicino a Topple (dove il passato di Katy creerebbe problemi) oppure affrontare il misterioso Picco Squartato, che già dal nome prometteva guai. Allora avevo disegnato una striscia nella quale Katy era triste e Drizzit provava a consolarla, senza grossi risultati, e mi sembrava di aver detto tutto: la tana avrebbe aspettato. Il gruppo è partito per un'altra meta. Ma rileggendo la sequenza delle strisce ho notato in effetti che non ce n'è una in cui prendono apertamente questa decisione. In futuro forse creerò una striscia extra, da inserire in mezzo alla sequenza, che chiarisca il concetto.

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sabato, agosto 27, 2011

Drizzit 108

L'inserimento di effetti sonori all'interno delle vignette mi sta costringendo a sperimentare nuove tecniche di visualizzazione e sovrapposizione dei piani. Ma dubito che vi interessino queste cazzatelle tecniche. La domanda che voglio che ci si ponga al termine di questa striscia invece è la seguente: ma i golem di pietra, vanno a batteria?

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venerdì, agosto 26, 2011

Drizzit 107

La gestione degli spazi è sempre stata una sfida molto ardua, per me. Nel caso di questa striscia sapevo di aver bisogno di quattro vignette, ma la quantità di testo e l'inserimento di effetti sonori avrebbe rischiato sicuramente di incasinare tutto. Alla fine, sacrificando qualcosa (il click del pulsante, un paio di parole da una battuta e un paio d'altre dall'altra) sono riuscito a farci entrare tutto.

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Sogno della scorsa notte

Eravamo in macchina. Non ricordo bene con chi, ma c'erano con me diversi amici, tre o quattro, e io non sedevo dalla parte del guidatore, ma sul sedile anteriore destro. Percorrevamo una strada provinciale stretta ma asfaltata, di quelle che ce ne sono tante in Abruzzo, in Umbria o nelle Marche. Ogni tanto incrociavamo qualche cartello stradale, ma i nomi dei paesi su sfondo blu erano sempre sconosciuti e assurdi. Ricordo che cercavamo di arrivare a Rimini.

Poi ci siamo fermati nella piazza di un paese. Lastricata, circondata da edifici rustici, praticamente deserta sotto il sole assolato. Mi sono avvicinato a piedi a un paio di figure che ci osservavano immobili sotto il portico di una delle case, volevo chiedere informazioni. Lentamente mi sono accorto che una delle due figure era un vecchietto con uno strano berretto, la barba incolta di chi non si rade da un paio di giorni, un bastone tra le dita, e senza dentiera. Se ne stava seduto su una sedia, in pizzo, come se gli desse fastidio poggiare il sedere per intero. Mentre lo osservavo, mi resi conto che l'altra figura era una vecchina stesa a terra, completamente avvolta da plastica trasparente. Sembrava come se si trovasse all'interno di una grossa tanica di plastica, di quel materiale rigido attraverso il quale era possibile vedere il corpo della donna, ma non proprio chiaramente. L'involucro di plastica aveva anche il suo rubinetto a beccuccio, rosso, che sporgeva dalla sommità e penetrando all'interno finiva dritto nella bocca della vecchia, che sembrava succhiarlo come un sigaro.

Mi accorsi che l'anziano signore, senza proferire parola, si stava allontanando allarmato. Come se avesse paura di noi. Mi precipitai a rassicurarlo, dicendogli che volevamo solo chiedere quale fosse la strada per Rimini. Mi rispose di andare a chiedere altrove e in qualche modo mi indicò dove andare, anche se non ricordo come fece, ne in che modo seguii le sue indicazioni. Comunque mi ritrovai di fronte a un muro bianco, al centro del quale era stato aperto un buco circolare. Il buco sembrava aperto a picconate, tanto che all'interno c'erano ancora macerie. Ma c'era anche un uomo, con la barba nera e folta e molto stempiato, sulla cinquantina. L'uomo capì (non so come) che alcuni di noi erano stati negli scout, e si infilò a sua volta un fazzolettone al collo. Poi ci disse che la strada per Rimini non c'era, che la provinciale terminava proprio qui, in questo paese, e che saremmo dovuti tornare indietro di molti chilometri.

Non so come mi ritrovai a letto in un Bed & Breakfast del paese. Ero da solo sotto le coperte di un letto matrimoniale. Avevo già conosciuto la proprietaria, un'altra signora anziana dall'aria severa, con i capelli grigi raccolti sulla testa grazie a un frontino, uno di quei cerchietti metallici coperti di stoffa. Non so quando l'avessi conosciuta e come ero finito a dormire da solo in un B&B di quel paese, fatto sta che mi ritrovai addirittura tra le mani un grosso paio di forbici da sarto, di quelle di metallo pesante e ben affilate. Nel sogno rammentai di averle sottratte da un cassetto della cucina, per potermi tagliare le unghie (assurdo, ma ricordavo proprio così). D'improvviso spuntò la signora, comparendo alla porta della stanza. Mi domandò, molto sospettosamente, se indossavo una calzamaglia. No, le dissi, è un pigiama. Ma lei si avvicinò e sollevò le coperte, sbirciando sotto. Vide le forbici, che tenevo nascoste vicino alla mia gamba. E queste, disse, chi te le ha date? Poi fece il giro del letto per raggiungere le forbici, che aveva notato sollevando le coperte. Io le raccolsi e gliele porsi cercando di giustificarmi. Ricordo che le dissi: volevo tagliarmi le unghie. E poi: non penserà mica che ci vada in giro ad ammazzare la gente! No, mi rispose alzando le forbici in alto, quello lo faccio io. E mi uccise.

martedì, agosto 23, 2011

Drizzit 106

C'era qualcosa di divertente nel far susseguire una serie di vignette ognuna con un effetto sonoro bizzarro. Però ero indeciso se nell'ultima utilizzare POF oppure ROAR. Alla fine ho optato per il rumore di Glenda che appare, perché era di tre lettere come gli altri due precedenti. Non credo che il rispetto della "simmetria" sia un pregio, in questo genere di fumetti, ma mi è piaciuto farlo.

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lunedì, agosto 22, 2011

Cronache già narrate

Ho aggiunto nel menù laterale una nuova voce, quella delle Cronache narrate. Sotto questa voce sono elencati i link che conducono direttamente ai racconti che ho pubblicato sul mio blog. Mi dispiaceva che i racconti pubblicati finissero dimenticati nell'archivio dei post, in questo modo invece chiunque voglia farlo può ritrovarli agilmente, cliccare e leggerli.

In questi giorni di calura estiva sto leggendo Sandman, che Planeta De Agostini sta pubblicando in una prestigiosa versione ultimate (sette grossi volumi che conterranno l'opera completa). Neil Gaiman ha uno stile semplice ed è diretto nell'esprimere i concetti, ma ha la capacità di mescolare letteratura e fantasia creando mondi con una coerenza degna dei Fratelli Grimm. Mentre lo leggo mi viene spontaneo di appuntarmi idee e così ho cominciato una infinità di piccole storie senza seguito che languono appena abbozzate nel mio computer in attesa di diventare qualcosa (oppure di restare niente). Insomma è probabile che posterò qualche altro racconto, a breve.

Il caldo rende insopportabili le giornate, e io non sono il tipo a cui piace combatterlo friggendosi al sole o gettandosi al mare. Preferirei dirigermi verso luoghi d'alta quota possibilmente isolati e godermi il silenzio e la vista dei panorami montani. Comunque in questi giorni è meglio evitare, ché l'Italia intera è impegnata in esodi e contro-esodi e anche viaggiare diventa un'agonia. Così me ne resto a casa, girandomi nel letto fino alle tre di notte e svegliandomi troppo tardi al mattino. Vorrei essere più produttivo ma non ci riesco. Wake me up when september ends. Fine delle lamentele. Più tardi, un'altra striscia di Drizzit.

domenica, agosto 21, 2011

Drizzit 105

A causa di uno scellerato errore ho dovuto disegnare questa striscia due volte. Nonostante ritenga che il risultato sia dignitoso e la battuta molto divertente, la fretta con la quale l'ho dovuta ridisegnare una seconda volta ha comportato inevitabilmente alcuni errori... ad esempio le linee cinetiche di Drizzit nella seconda vignetta si sovrappongono con la linea di colore dello sfondo... e poi mi sono dimenticato di colorare la tazza che Wally tiene in mano nell'ultimo riquadro! Probabilmente rimedierò in fase di revisione, non si tratta di cose gravissime. Inoltre mi piace lo stile molto penny arcade con il quale ho disegnato i personaggi nella terza vignetta. Non credo che ne farò uso di nuovo, ma dona al quadretto un'atmosfera cartoon davvero particolare.

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sabato, agosto 20, 2011

Drizzit 104

Non che si debba veramente porre fine alla faccenda (la questione del perché Katy non ha la quarta resterà uno dei misteri della serie per sempre), ma la domanda è pertinente in ogni caso. Mettiamo che io abbia un ripensamento sul fatto che Drizzit sia un tappo... dovrei scrivere una mezza dozzina di strisce, come minimo, per giustificare un suo improvviso aumento di altezza. Beh non mi piace molto. In generale, non mi piace proprio scrivere cose forzatamente, preferisco che la storia vada dove mi sembra più giusto che vada. Per questo scrivo le strisce di sette in sette, così non avendo una programmazione a lungo termine, non so neppure io come andranno a finire molte vicende. E devo ammettere che è piacevole, scorrendo la continuità delle strisce, constatare come molte scelte sono state dettate semplicemente da un'esigenza di coerenza narrativa e grafica. Ad esempio, la capigliatura di Katy, che cambia da quando una pozione le allunga inaspettatamente i capelli, e lei rifiuta di tagliarli. Non è che volessi cambiarle il modo di pettinarsi, è andata così.

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giovedì, agosto 18, 2011

Drizzit 103

Suppongo che uno stregone immortale abbia avuto centinaia di anni per leggere, aumentare la propria cultura, coltivare tantissimi interessi. E poi probabilmente divenire pazzo.

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martedì, agosto 16, 2011

Drizzit 102

Ecco un'altra cosa che mi sono sempre chiesto. Perché il re di tutti gli orchi, o il necromante che anima orde di nonmorti, o il troll a capo della tribù, aspettano tutti in fondo all'accampamento, o al labirinto, mentre gli eroi sventrano inesorabilmente la loro armata di mezze calzette? Sarebbe molto più intelligente piombare sui nemici immediatamente, ed eliminarli una volta per tutte. Ammesso che se ne abbiano le possibilità. Altrimenti fuggire è una buona opzione. Insomma di tutte le alternative, la meno probabile mi sembra proprio quella che in ogni videogame, avventura o film viene scelta più di frequente: attendere nell'ultima stanza che il nemico venga a bussare.

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lunedì, agosto 15, 2011

Lego Contest 2011


Lo abbiamo organizzato noi della Gilda del Drago Nero. Siccome sta avendo molto successo, lo posto anche sul mio blog, così magari a qualche lettore viene voglia di partecipare!

domenica, agosto 14, 2011

Drizzit 101

Immagino che la vita di un morto vivente in una catacomba non offra molte opportunità di svago. Decenni o forse secoli in solitudine, alla fine credo che qualsiasi novità sia percepita come una specie di benedizione.

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giovedì, agosto 11, 2011

Drizzit 100+1!

Ho disegnato una striscia in più, per festeggiare. Siccome le altre erano tutte numerate, questa è divenuta la 100+1!

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mercoledì, agosto 10, 2011

Pathfinder: armature come RD

Ho tradotto e riassunto la regola delle armature come RD apparsa nel manuale Ultimate Combat recentemente pubblicato dalla Paizo per Pathfinder GdR. Si tratta di una regola opzionale che converte il bonus armatura garantito dalle corazze e dalle protezioni in riduzione del danno (com'è sempre stato in Pathfinder e più in generale nel d20 system). La regola è interessante ma il mio parere è che crei molti più problemi di quanti non ne risolva, e cioè che per aggiungere realismo al gioco si finisca per appesantirlo. Inoltre ho qualche perplessità sugli equilibri che questa variante va a toccare... ma suppongo che alla Paizo abbiano testato abbondantemente il sistema prima di infilarlo in un manuale. Bisognerebbe provare ad applicarlo e vedere che succede. Se qualcuno ci vuole provare, mi faccia sapere. Ecco le regole:

* * *

Difesa anziché CA: in questo sistema alternativo, anziché la Classe Armatura, si ha un punteggio di Difesa, calcolato nel modo che segue:

Difesa: 10 +bonus scudo +bonus Destrezza +altri bonus (compresi i bonus di potenziamento delle armature, e il bonus deflettere);

Qualsiasi effetto che faccia perdere il bonus Destrezza alla CA, in questo sistema fa perdere invece il bonus Destrezza alla difesa. Se si utilizza uno scudo senza essere competenti, si subisce una penalità pari a quella che lo scudo assegna alle abilità anche alla Difesa, e inclusa la Difesa quando si è impreparati. In questo sistema non esiste la CA a contatto, mentre la Difesa impreparati esiste ed è pari alla Difesa meno il bonus scudo e il bonus Destrezza.

Armature e RD: le armature offrono una Riduzione al Danno pari a quello che nel sistema originale era il loro bonus alla CA. Inoltre, indossare una qualsiasi armatura concede un ulteriore +1 di RD ogni 5 livelli del personaggio (fino a un massimo di +4 al 20° livello, e questo bonus non si applica se la creatura non è competente nell'armatura). Ad esempio un giaco di maglia indossato da un personaggio di 12° livello garantisce 4+2 = RD 6. Al contrario di tutte le altre RD, la RD garantita dalle armature si somma ad altre eventuali RD; uno scheletro ad esempio ha RD 5/contundente, uno scheletro con un giaco di maglia ha RD 9 contro armi taglienti o perforanti, e RD 4 contro armi contundenti.

Ignorare la RD delle armature: La RD garantita dalle armature può essere ignorata utilizzando armi magiche (bonus almeno +1) o da creature di taglia Grande o superiore. Se l'armatura è magica, il bonus di potenziamento si somma alla Difesa e non alla RD; inoltre la RD offerta da un'armatura magica non viene ignorata dalle armi magiche a meno che non siano adamantine o la creatura non sia di taglia Enorme. Se l'armatura è adamantina, solo le creature di taglia Mastodontica o superiore la ignorano (unica eccezione a tutte queste regole sono le armi energia luminosa che ignorano qualsiasi RD).

Armatura naturale: se una creatura possiede armatura naturale, anche questa viene convertita in Riduzione del Danno. Nel caso in cui una creatura con armatura naturale possieda anche un'altro tipo di RD, nel convertirla a questo nuovo sistema occorre fare attenzione: se la RD aggiuntiva è del tipo RD/magia, RD/adamantio, RD/- o RD/epica, allora la RD risultante è stabilita in base alla tabella presente sul manuale.

Altri casi in cui la RD delle armature è ridotta: Quando un personaggio è afferrato o avvinghiato, la RD garantita dall'armatura è dimezzata. Un personaggio immobilizzato o indifeso ha RD pari a zero. Inoltre, alcuni tipi di creature superano facilmente la RD garantita dalle armature: le creature amorfe (ad esempio le gelatine) riducono la RD alla metà; le creature incorporee ignorano la RD a meno che l'armatura non possieda la caratteristica tocco fantasma o sia un effetto di forza; gli sciami piccoli affrontano una RD dimezzata, gli sciami minuscoli affrontano una RD pari a un quarto, gli sciami ancora più piccoli ignorano completamente la RD garantita dall'armatura.

Colpi critici: in questa variante di regole quando un personaggio minaccia un colpo critico, non deve effettuare il tiro per confermarlo. Invece, chi sta subendo il critico deve effettuare un tiro per evitarlo. Il bonus per evitare il critico si calcola come di seguito:

Bonus di difesa dai colpi critici: RD totale +bonus scudo + bonus Destrezza +bonus deflettere;

La CD di tale prova è un punteggio che dipende dalle capacità di chi sta minacciando il critico:

Difficoltà della difesa dai colpi critici: risultato del dado che ha generato il critico +1/2 del bonus di attacco +1 per ogni talento che potenzia il critico +1 per ogni categoria di taglia superiore al bersaglio;

Le armature con la capacità fortificazione entrano in gioco dopo che il tiro di difesa dal critico è fallito.

Drizzit 100

Questa è la striscia numero 100! Ho ricevuto numerosi consigli su come celebrare questo traguardo. Ad esempio inserendo una vignetta dove appare il numero 100, oppure dove si celebra un centenario. Altro suggerimento: una striscia completamente in bianco e nero, ironizzando sul fatto che le serie di fumetti Bonelli celebrano il numero cento presentandolo completamente a colori. In alternativa una striscia autocelebrativa dove sarei dovuto comparire io. Ma le ho scartate tutte. Non ho mai visto nessuno autore di strisce a fumetti celebrare la centesima striscia, quindi non lo farò nemmeno io. Cioè non lo farò nel fumetto! Sul mio blog potete unirvi al mio entusiasmo e festeggiare, magari stappando un succo di frutta e sbucciando qualche pistacchio. Tanti auguri Drizzit!


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martedì, agosto 09, 2011

Drizzit 99

Io rispondo sempre così, al citofono. Immagino che se alla cornetta c'è uno zombi o un goblin, il giochetto abbia molte più possibilità di funzionare. Ma con mia madre funziona lo stesso.


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lunedì, agosto 08, 2011

sabato, agosto 06, 2011

La Storia di Sergio e Luis (8a parte)

E' finito! E' finito! Il mio giocondo e allegro racconto per bambini è giunto al termine. Leggetevi il finale e gioite assieme a me per la grande impresa che ho portato a compimento.


La sua tana non era cambiata affatto. Spoglia, triste, trascurata. Non aveva mai comprato un mobile, mai pensato ad un attaccapanni all'ingresso, né a una dispensa dove conservare il cibo per l'inverno, o a un orologio a cucù. Si era trasferito in quel tugurio ormai da due anni, ed era rimasto esattamente come quando ci aveva messo piede la prima volta.
Quando Sergio era solo un pulcino, sua sorella Annamaria gli ripeteva in continuazione che avrebbe voluto trovare un bel compagno, avere tanti figli, e poi morire serena. Sergio accoglieva con disgusto quei sogni di second'ordine.
«E tu che vuoi fare da grande?»
«Voglio fare il pirata.»
«Il pirata kiwi? Fa ridere solo a pensarci.»
Erano passati quindici anni, trascorsa la metà della vita di un kiwi. Annamaria aveva già dato alla luce una decina di nidiate di pulcini assieme a tre compagni diversi, tutti molto promettenti e prestanti. Sergio invece era rimasto il solito coglione. Per un po' aveva provato a fare l'impiegato per una ditta di consegne espresse; poi si era stufato ed aveva ripiegato su una cooperativa per l'assistenza dei kiwi meno fortunati; ma i fondi non arrivavano mai e la cooperativa era stata costretta a chiudere lasciandolo pieno di debiti. Si era venduto la vecchia casa per risarcire i creditori, poi si era trasferito a un passo dallo stagno, nella zona meno prestigiosa del bosco. Qui non passava nemmeno il fringuello dei giornali, e il bar più vicino era a venti minuti di cammino, dall'altra parte di quel fetido canneto. Ma si stava tranquilli. Le rane cantavano al tramonto, e la sera si addormentava pensando sovente all'improbabile vita di un pirata kiwi.
«Che stronzata.» Mormorava fra sé e sé, prima di prendere sonno.
«Che stronzata.» Si ripeté anche in quel momento, lanciando il libro di Bart il tasso sul pavimento. Poi si rese conto di non aver voglia di stare in casa, girò le zampe e fece per uscire. Una passeggiata, silenzio. Luis non c'era più, e del fatto che la grande impresa fosse compiuta non gliene importava una mazza.
«Sergio...» Una voce lo colse alle spalle, come una pugnalata. Si voltò con la prudente lentezza di chi è pronto a trovarsi di fronte un facocero imbizzarrito che sta raspando con la zampa a terra, pronto a caricare. Invece c'era Teresa. Sergio avrebbe preferito il facocero.
«Sei tornato. Sono passata ieri mattina e ho visto che non c'eri.»
La kiwi si avvicinò di un passo, e gli ondeggiò con il lungo becco attorno.
«Sergio... profumi di lavanda... ma che hai fatto?»
«Lascia stare Teresa, è una lunga storia... e non me la sento di raccontartela, adesso.»
«Allora posso ripassare più tardi...»
Sergio sospirò.
«Ascolta Teresa, lo so che probabilmente i due neuroni che hai nel cervello in questo momento sono affaticati perché stanno facendo un sacco di scale, ma quando una persona ti dice che non ha voglia di parlare di qualcosa “adesso” è probabile che non abbia nemmeno voglia di parlarne “più tardi” e che invece voglia restare un pochino... da sola. Chiaro?»
Teresa fece spallucce.
«Volevo solo essere carina.»
«Ma che sei passata a fare?»
«Per chiederti scusa dell'altra sera. Alla festa di Sebastiano.»
«Perché... che hai fatto alla festa di Sebastiano?»
Teresa fece spallucce di nuovo.
«Niente.»
«Cazzo questa conversazione sta diventando surreale. – Commentò Sergio. – Se non hai fatto niente perché vieni a casa mia a chiedermi scusa?»
«Beh ti eri arrabbiato molto perché era una festa di addio al celibato e non erano ammesse femmine di nessuna specie. E poi ho pensato che magari ti aveva dato fastidio che fossi venuta alla festa con Sandro.»
«Teresa non me ne frega un cazzo con chi vai alle feste.» Rispose Sergio seccamente. Poi scosse la testa e si avviò per andarsene. Ma in quell'istante un poderoso svolazzare di ali smosse il tappeto di foglie sotto i suoi piedi e agitò le estremità delle canne che si innalzavano di fronte alla tana. Planando con molta poca grazia, Wittie il gufo atterrò su una delle radici dell'albero sotto al quale Sergio aveva preso casa. La vista del saggio gufo in qualche modo rasserenò il kiwi. Sapeva che parlare con Wittgenstein gli avrebbe fatto senz'altro bene, e comunque già solo specchiarsi nei suoi enormi occhi rotondi gli infondeva un senso di tranquillità profonda. Chissà se il gufo aveva saputo di Luis... forse la voce gli era giunta per sentito dire e si era precipitato qui per averne la conferma.
«Allora... – Esordì l'enorme e anziano pennuto. – E' tutto vero?»
Sergio chinò la testa e strinse il becco, facendo uscire a fatica le parole. «Sì... è tutto vero.»
Gli occhi di Wittgenstein si spalancarono ancora più del solito. Il suo becco si allargò in una smorfia di estremo stupore, e mentre distendeva le ali gonfiò il petto.
«Ci sei riuscito! Hai recuperato il libro di Bart il tasso!» Esclamò.
Teresa si avvicinò facendogli quasi eco: «Hai recuperato il libro di Bart il tasso!»
Sergio era sbigottito. «Certo... ho recuperato il libro...» Ammise, balbettando.
«Ma è fantastico! Fantastico amico mio! – Continuò Wittie, esultante. – Il libro di Bart il tasso! Non posso crederci! Ho sognato per anni di conoscere le sue mirabolanti avventure... e non avrei mai potuto immaginare che sarei riuscito a leggerle, prima di morire. Questo è il più bel giorno della mia vita, Sergio... Grazie.»
Gli occhi del gufo, tondi e lucenti come due oblò, si inumidirono di lacrime. Quelli di Sergio invece si incurvarono sotto il peso rabbioso delle sue sopracciglia.
«Ma cosa ti prende Wittie? Cosa vuoi che me ne importi di aver recuperato quel libro di merda... Luis è morto! Capisci? Morto! Si è sfracellato la testa credendo che saremmo diventati famosi o idiozie del genere... questa è la conseguenza delle tonnellate di cazzate che ci hai raccontato. Luis ci credeva davvero a tutte quelle storie riguardo il destino, al fatto che eravamo eroi... e... e... Vaffanculo Wittie!»
Sergio scoppiò a piangere, rannicchiandosi a terra. Teresa lo raggiunse e si sedette vicino a lui. La kiwi e il gufo restarono in silenzio per tutto il tempo di cui Sergio ebbe bisogno per singhiozzare. Poi quando Sergio rialzò la testa, Wittie si chinò su di lui e gli disse:
«Luis è vivo. Riposa nel mio nido, sull'albero.»
«E' vivo?» Chiese incredulo il kiwi.
«La signora Knodeldome è una veterinaria. Il signor Knodeldome ha raccolto Luis dalla biancheria che era ancora vivo. Stamattina, quando lei è tornata, glielo ha mostrato e la signora lo ha curato. Poi l'hanno lasciato sul davanzale, nella speranza che si riprendesse. Invece Ulisse, il loro chihuahua, ha raccolto Luis e me l'ha portato. Gli umani avranno pensato che il cane se lo sia mangiato. Quel poveraccio si beccherà una punizione per questo... ma ci deve essere abituato. Chi pensavi che mi avesse detto che eri riuscito a portar via il libro di Bart? E' stato Ulisse.»
«Quel depresso del cazzo...» Biascicò Sergio nascondendo un sorriso. Poi saltò in piedi, corse nella sua tana e prede il libro. Tornò e lo porse a Wittie.
«Vieni a trovarmi, più tardi. Appena Luis si sveglierà, potrei leggervene un pezzo.» Detto questo, il gufo afferrò il libro e con una serie di robusti colpi di ali si sollevò oltre le fronde più alte degli alberi, scomparendo. Sergio intravide un cielo incredibilmente azzurro tra le foglie. Cosa aveva imparato da tutta questa storia? Forse non c'era nulla da imparare, non tutte le storie hanno una morale o vogliono insegnare qualcosa. Comunque, ed era quello l'importante, adesso si sentiva molto, molto meglio. Teresa era lì che lo guardava compiaciuta. Si avvicinò e le chiese:
«Teresa... ti va di accoppiarci come leprotti?»

EPILOGO
Luis e Sergio sedevano comodi nell'ampia cavità del tronco di Wittie. Il gufo stese il libro delle imprese di Bart il tasso sulla paglia del pavimento e si schiarì la gola.
«Ho saputo che ci hai dato dentro con Teresa.» Disse sottovoce il pettirosso all'amico.
«Ma chi cazzo è che va in giro a raccontare 'ste cose?» Gli fece il kiwi, di rimando.
«Teresa. Lo racconta a tutti. Comunque la devi piantare di dire sempre cazzo di qua, cazzo di là. Siamo i protagonisti di una favola, devi darti una regolata.»
Sergio sorrise bonariamente, poi rivolse la propria attenzione al gufo. Wittie afferrò col becco la copertina del libro e lo aprì. Nel silenzio della notte le sue parole riecheggiarono chiare.
«C'era una volta...» Esordì. Poi s'interruppe perché una ghianda volò all'interno della tana e gli rimbalzò in testa. «Fottuti scoiattoli di merda!»

Drizzit 98

In questa striscia è stata commessa una piccola violazione di una regola fondamentale di questo tipo di fumetti, e cioè che ogni striscia dovrebbe essere leggibile come se fosse la prima. In particolare, in questa striscia non viene nominato chi è che sta facendo casino. Chiunque abbia seguito il fumetto sa che si tratta di Wally, ma Dotto avrebbe comunque dovuto dire "Che sta facendo Wally?" e non "Ma che diavolo sta facendo?" senza specificare chi. Però ho voluto dare un tocco di realismo alla sua battuta, in questo modo Dotto è più spontaneo, più vero. Si rivolge ai suoi compagni senza palesare che sta chiedendo di Wally, perché effettivamente non ce n'è bisogno. Chi non viene considerato è l'eventuale lettore che legge queste vignette per la prima volta.
Molte volte in un racconto, in un fumetto o in un film ci si preoccupa dello spettatore e si finisce per rendere poco credibili certe scene, al fine di renderle più chiare. Ad esempio in Guerre Stellari, ogni volta che C1P8 emette una serie di suoni, Luke ribadisce quello che il robot ha appena detto. Esempio: "No C1 non torneremo indietro." oppure "Non preoccuparti C1, ho spento il radiofaro." Le risposte di Luke sarebbero state più realistiche se avesse risposto semplicemente "No" o solamente "Non preoccuparti." ma così lo spettatore non avrebbe capito cosa C1 gli chiedeva.
Esistono comunque opere in cui l'intenzione di far capire qualcosa al lettore è volutamente ignorata. Un esempio illuminante sono i fumetti di Masamune Shirow, dove il lettore se vuole capire qualcosa è costretto a saltare continuamente alle note o alle spiegazioni enciclopediche alla fine del fumetto. E questo perché l'autore non si preoccupa minimamente di far sì che i suoi personaggi spieghino al lettore di cosa stanno parlando.
Scusate la lunghezza, la mia piccola striscia non aveva sicuramente bisogno di un così ingombrante approfondimento! La prossima volta non divagherò. Promesso.

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Elucubrazioni senza particolare senso

La quotidiana assenza di tranquillità mi ha spesso spinto a riflettere. Oggi attraversavo il paese in macchina e torsi di persone scorrevano veloci oltre il mio finestrino, per cui il mio cervello ha indugiato parecchio sull'incredibile significato che si dà alla propria esistenza. Ognuno pesa la propria vita a modo suo, caricando sul piatto ogni esperienza, ogni dolore, ogni emozione, ogni delusione, ogni attimo di felicità. Abbiamo una quantità di memorie tali da rendere la nostra esperienza di vita talmente intensa e forte che se dovessimo confrontarla con quella di qualsiasi altro non ci sarebbe dubbio, la nostra pesa di più. Alla fine quindi, ciò che dona valore alla nostra vita è l'enorme considerazione che noi le attribuiamo. Perché obiettivamente, solo pochi potranno dire che la propria esistenza ha contato più di quella del prossimo, quando saranno giunti alla fine. Lo concedo a Leonardo da Vinci, a Gandhi e a Socrate, ai fratelli Wright che hanno inventato il volo, e a Albert Einstein che una volta disse: «La scuola dovrebbe avere come suo fine che i giovani ne escono con personalità armoniose, non ridotti a specialisti». Ma non lo concederei alle star di Hollywood né agli imperatori, né ai politici né agli sportivi che hanno infranto qualsivoglia record del mondo. Perché tutti siamo destinati a fare qualcosa di grande, ed è il concetto di grande che va ridiscusso. Segnare il gol che fa vincere un mondiale è più importante di insegnare al proprio figlio cosa significa rispetto della vita? Non lo credo. Sono sicuro che molti dei torsi di persona che scorrevano oltre i finestrini della mia macchina, oggi, non si ritengono più grandi di Giulio Cesare. Ma per me lo sono.
Allo stesso modo, credo che tante altre persone scivolino di giorno in giorno senza nemmeno rendersi conto che il senso della loro nascita è realizzarsi. Lanciano il proprio corpo avanti, inseguendo traguardi come fine settimana, fine mese, fine anno. Sperando nel meglio, confidando nel meglio, o forse neppure quello, forse sono rassegnati e piangono ogni sera, amareggiati dalla propria consapevolezza. Lo stesso la mia esistenza vale quanto la loro? Non lo so, a conti fatti e valutando le cose con la mia scala di grandezza, la mia vale anche di meno, ché di cose grandi di quelle che per me grandi sono davvero, credo di averne fatte ben poche.
Eppure il peso della mia vita mi è lo stesso caro, e non cederei alla tentazione di scambiarla con quella di qualcun altro, nemmeno con quella di qualcuno che la marmaglia di persone delle quali sono circondato considera più fortunato. Che me ne faccio dei miliardi? L'essenziale non è invisibile agli occhi. L'essenziale è proprio di fronte a noi. L'essenziale è assecondarci nella semplicità del quotidiano, e puntare verso la felicità che ci meritiamo. Non quella che tutti credono che sia la felicità, ma verso quella che davvero ci meritiamo. Sono stato abbastanza fortunato, perché ho avuto la possibilità di crescere e comprendere, analizzare e capire, ragionare e acquisire consapevolezza, crescere e pensare, sapere cosa rimettere in discussione e cosa no. Così quando arrivo a casa e parcheggio la macchina, il motore si spegne e il mio cervello continua a ronzare. Salto la cena (perché mi dimentico), esorcizzo le mie elucubrazioni scaricandole sul foglio in varie forme, e infine vado a dormire sereno aspettando con ansia di scoprire cosa cazzo si inventerà il mio inconscio durante quelle poche ore di sonno REM.

venerdì, agosto 05, 2011

La Storia di Sergio e Luis (7a parte)

So che molti l'attendevano con ansia, trascorrendo notti insonni fantasticando sul finale dell'epica storia di Sergio e Luis. Ecco a voi la penultima parte. Leggetela con attenzione, la loro grande avventura sta per giungere al termine.


Le rigide, squadrate, altissime mura della casa del signor Knodeldome si ergevano attorno a Sergio, che con il becco in aria ne ammirava colmo di stupore le decorazioni... vecchie pitture incorniciate, libri sospesi su tavole traverse, maschere di porcellana che altalenavano sulle pareti, sfere luminose che dondolavano giù dai soffitti. Gli ambienti erano riempiti di qualsivoglia genere di cianfrusaglia, quasi a voler creare un disorientante percorso a ostacoli per chiunque volesse giungere dall'altra parte di ogni stanza. Ma dopo aver percorso un breve tratto di corridoio, Sergio superò un arco di pietre e si ritrovò in quella che doveva essere la stanza descritta da Wittie nei suoi racconti. Il kiwi non aveva mai prestato molta attenzione alle parole del gufo, ma c'erano alcuni indizi che rendevano la deduzione inequivocabile: innanzitutto due delle tre pareti erano rivestite con strutture di legno colme di libri; poi al centro della stanza c'era un tavolino basso e un divano spelacchiato, proprio quelli dove, nel racconto, papà Knodeldome e suo figlio si erano apprestati a leggere il libro di Bart il tasso; infine, in un angolo della stanza vicino alla finestra, un trespolo metallico simile a quello che teneva imprigionato Wittie adesso ospitava un nuovo pennuto. Si trattava di un aramacao dallo sguardo sonnacchioso, che probabilmente non si era nemmeno accorto di Sergio.
Il kiwi non aveva intenzione di portare a termine l'impresa. Dopo la morte di Luis, l'unica cosa che voleva era di tornarsene a casa il più velocemente possibile. Ma per farlo avrebbe dovuto raggiungere un uscita, e pareva proprio che il signor Knodeldome l'avesse nascosta in un labirinto di mura. Saltò sul tavolino e poi sul divano, quindi con l'ennesimo balzo raggiunse la sommità della spalliera imbottita. Si guardò attorno. Nelle pareti della sala si aprivano altre due porte, ma erano chiuse dannazione, e Sergio non aveva intenzione di rimetterci il cranio per aprirle. Poi c'erano ampie finestre dalle quali era possibile ammirare l'esterno e il cielo notturno luminoso di stelle. Ma anche le finestre erano chiuse. Non c'era alternativa: bisognava chiedere aiuto al pappagallo.
«Ehi... ehilà... signor aramacao!»
Il pappagallo dalle piume di mille colori sollevò stancamente una palpebra.
«Chi mi chiama?»
«Sono qui, sul divano. Mi chiamo Sergio e mi sono perso. Sarebbe così gentile da aiutarmi ad uscire da questa tana? Ho un appuntamento per colazione, domani mattina... non vorrei mancare.»
Sergio non sapeva cos'altro inventarsi. Sarebbe stato troppo ridicolo dire: sono qui perché col mio amico pettirosso pensavamo di rubare un antico tomo che descrive le gesta eroiche di un tasso, ma poi lui si è fracassato la testa su una porta di legno e adesso vorrei solo andarmene a casa.
«Ohibò, un kiwi. – Notò lo sgargiante pennuto. – Come sei entrato?»
«Dalla finestra della stanza del tinello.»
«Oh... perdoni il disordine allora! La signora Knodeldome è fuori per qualche giorno e torna domani, ci saranno tanti panni da stirare. Solitamente la signora se ne occupa la sera, quando torna dal suo studio. Le piace farlo mentre sorbisce trasmissioni di magro contenuto culturale alla tivù.»
Sergio mosse alcuni passi sul bordo della spalliera del divano, in modo da avvicinarsi un po' di più al pappagallo, poi a bassa voce sussurrò:
«La prego mi aiuti a uscire di qui prima che si accorgano di me! Il chihuahua qui fuori mi ha raccontato che gli umani sono soliti torturare gli altri animali per puro piacere... tipo facendo una cosa chiamata “bagnetto” o cose del genere!»
«Oh oh oh! – Ridacchiò l'aramacao. – Ulisse diventa ogni giorno più divertente! Non dovete dare retta a quello che dice quel cane. E' un chihuahua. Nascono depressi. Comunque, il mio nome è Raimondo. Abito questa casa da qualche anno e se vuole attendere che arrivi il padrone, sul tavolo ci sono dei cioccolatini dei quali può servirsi. Io ogni tanto ne rubo qualcuno e lo sgranocchio, sono troppo buoni. Però mi creano problemi all'intestino e questo non piace alla signora Knodeldome...»
Sergio sbuffò spazientito. Quel vecchio uccello rincoglionito non sembrava comprendere la gravità della situazione. Si voltò per individuare i cioccolatini, una piramide ordinata di palline dorate che faceva bella figura sul tavolino. Quando Wittie parlava di quei frutti, si soffermava sempre sulla loro buccia metallica e sulla consistenza croccante della polpa, del tutto insolita per un frutto, ma gli umani ne andavano ghiotti. Fu in quel momento che lo vide. Il libro delle avventure di Bart il tasso. Proprio dietro la piramide dorata, nella parete dei libri. Era appoggiato di traverso su uno scaffale in basso, coperto da un filo di polvere. Sergio non sapeva leggere ma la copertina era esattamente come l'aveva descritta Wittie... celeste, con alberi disegnati ovunque, e la faccia ammiccante di Bart il tasso che prendeva metà dello spazio.
«Il libro di Bart il tasso!» Esclamò il kiwi ad alta voce senza nemmeno accorgersene.
«Oh perdinci, non dirmi che conosci quella robaccia!» Commentò sprezzante il pappagallo.
Sergio si voltò verso Raimondo e lo fulminò con uno sguardo talmente carico di collera che anche un pitbull avrebbe preso appunti.
«Quello è il libro di Bart il tasso! Contiene le sue mirabolanti imprese ed è come un faro che illumina tutti noi animali, spingendoci a realizzare pienamente noi stessi e a inseguire i nostri sogni! Il mio migliore amico è morto per cercare quel libro!»
Il pappagallo si zittì. Una lacrima sgorgò dal solito occhio di Sergio, ma lui la aspirò velocemente nella narice del becco. Si rese conto che aveva parlato proprio come Luis. Non se lo sarebbe mai aspettato. Non avrebbe mai detto nulla del genere, prima. Doveva essere l'effetto del libro. Anche solo sostare nelle sue vicinanze aveva conseguenze benefiche negli animi delle creature. Sergio cominciò a sentire crescere dentro di sé una forza e un coraggio del tutto inaspettati.
«Ascoltami bene adesso, Raimondo. Io ti libererò dal trespolo, ma poi tu devi aiutarmi. Devo uscire di qui, e devo portare via con me il libro di Bart il tasso.»
«Guarda che sullo scaffale in basso c'è anche Conrad, Hemingway... Swift!»
«Fanculo Swift! – Gridò Sergio. – Bart il tasso, ho detto.»
«Eh vabbé... Bart il tasso.» Mormorò Raimondo con evidente amarezza.
Sergio prese una breve rincorsa e poi si lanciò con tutte le sue forze verso il trespolo.
«Ma che cazzo faaaaaaaai...» Urlò disperatamente il pappagallo, mentre l'intera struttura si rovesciava a terra con fragore. L'uccello colorato ruzzolò sotto una tenda, semi di girasole e acqua si sparsero sulla moquette rossa. Sergio si rimise velocemente in piedi e corse verso la catenella che stringeva una zampa del pappagallo, imprigionandolo.
«E' inutile... – Gli fece Raimondo. – Ti sembra che non ci abbia mai provato?»
«So come si fa. – Rispose il kiwi. – Un mio amico è riuscito ad aprirla e mi ha raccontato come. Basta tirar via questa linguetta di metallo, prima di estrarre il perno.»
«Lascia fare a me! Ho il becco più adatto.» Raimondo si chinò sulla propria zampa. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, riuscì ad afferrare la linguetta e a tirarla via. Sentì che già il meccanismo si era allentato. Afferrò col becco il perno e iniziò a tirare. Stava cedendo, ma era incastrato.
«Merda cos'è 'sto casino?» La voce del signor Knodeldome risuonò nell'ampia sala. Era evidente ormai che gli umani erano attratti dai rumori come le falene dalla luce. L'umano si arrotolò le maniche della camicia e si mosse verso il trespolo crollato, aggirando il divano. Sergio schizzò via, nascondendosi dietro un portariviste pieno di Vanity Fair e Focus.
«Non ti preoccupare per me! Lo distraggo io! – Gracchiò Raimondo mentre l'umano si chinava su di lui. – La porta bianca ha uno sportello per far uscire il gatto! E' la tua unica via di fuga!»
Il kiwi non si fece scappare l'occasione. Il sacrificio di Raimondo non sarebbe stato vano, e nemmeno quello di Luis. Corse verso la parete in fondo e con il becco afferrò il libro di Bart il tasso. Era leggero, piccolo e di poche pagine. Poche imprese, ma importanti, pensò Sergio. Poi filò veloce in direzione della porta bianca. Nel frattempo il pappagallo si dimenava ferocemente sferzando l'aria con ali e speroni.
«Ma che ti prende, Raimondo! Stai calmo!» Gli gridava il signor Knodeldome, che aveva timore di allungare una mano per paura di essere graffiato o morso. Raimondo tirò con forza il perno per un'ultima volta, e questo si aprì lasciandogli libera la zampa.
«Per la Jamaicaaaaaa!» Urlò stridendo, e si scagliò sulla faccia del signor Knodeldome. Il poveretto cominciò a bestemmiare in tutte le lingue che conosceva mentre un pappagallo di mezzo chilo lo costringeva a ripararsi il volto per non finire sfregiato.
Sergio raggiunse la porta e notò il passaggio che gli aveva indicato Raimondo. Un pertugio quadrato coperto da uno sportello basculante. Ci si lanciò addosso, finendo per rovesciarsi sui gradini di casa Knodeldome. Ce l'aveva fatta! Era all'esterno. Scosse la testa per riprendersi. Quando riaprì gli occhi, un chihuahua lo stava fissando, con la lingua penzoloni.
«Ehi, gli hai cagato sul letto?» Chiese Ulisse.
«Vaffanculo tu sei depresso!» Gli rispose Sergio rialzandosi. Poi recuperò il libro da terra e si allontanò nel giardino in direzione della breccia nella recinzione.

mercoledì, agosto 03, 2011

Drizzit 97

Essendo la penultima striscia della quattordicesima serie, ho preferito introdurre il cattivo e sacrificare qualsiasi altra battuta riguardo agli acquisti sfrenati di Wally (ma non temete, presto tornerò sull'argomento). Questa striscia intende essere divertente nel complesso, col nonmorto che si sta preparando il caffé e gli squilla l'allarme, gioisce perché si accanirà presto contro nuove vittime, e infine c'è l'immagine del gruppo di Drizzit che compare nella sfera.

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